L’antibiotico-resistenza è una minaccia per i pazienti in Europa
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Le percentuali di antibiotico-resistenza agli antibiotici di ultima linea, come per esempio i carbapenemi, hanno raggiunto livelli elevati in diversi Paesi della Regione europea dell’Oms. A raccontarlo è il secondo rapporto “Surveillance of antimicrobial resistance in Europe”, relativo ai dati del 2021 e appena pubblicato dal Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc) e dall’Oms Europa. Un fenomeno, come lo definiscono le due organizzazioni, che rappresenta una seria minaccia per la salute, anche perché molti Paesi hanno opzioni terapeutiche limitate per i pazienti con infezioni causate da questi agenti patogeni.

L’antibiotico-resistenza, che sta raggiungendo livelli pericolosamente alti in tutto il mondo, è stata classificata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come una delle maggiori minacce per la salute pubblica. Oggi, infatti, le infezioni resistenti ai farmaci sono responsabili di circa 700mila decessi all’anno a livello globale. Una cifra che potrebbe salire a 10milioni entro il 2050 se non viene intrapresa alcuna azione. Come vi abbiamo raccontato, inoltre, l’Italia è al secondo posto nella classifica europea per i decessi dovuti a batteri resistenti agli antibiotici, con 19 decessi ogni 100mila abitanti. E, sebbene le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici siano in diminuzione rispetto agli anni precedenti, secondo il recente report dell’Istituto superiore di sanità, si mantengono comunque elevate.

Cosa dice il nuovo report

Tornando al nuovo documento, ricordiamo che nella Regione Europea esistono due reti regionali che raccolgono e presentano i dati di sorveglianza della resistenza antimicrobica per quasi tutti i 53 Stati membri della regione: la rete europea di sorveglianza della resistenza antimicrobica (EARS-Net) e la rete di sorveglianza dell’Asia centrale e europea della resistenza antimicrobica (CAESAR). Come si legge nel rapporto, i tassi più elevati di antibiotico-resistenza sono stati segnalati nelle parti meridionali e orientali della Regione europea, rispetto a quelle settentrionali e occidentali. Per quanto riguarda l’Italia, nel 2021 ci sono stati circa 56mila casi totali di infezioni resistenti, con al primo posto E.coli (21.292), seguito da S.aureus (11.856) e K.pneumoniae (9.202).

Particolarmente comune, inoltre, è risultata la resistenza alle cefalosporine e ai carbapenemi di terza generazione in K. pneumoniae e ai carbapenemi negli Acinetobacter. “I modelli attuali, come l’aumento delle specie di Acinetobacter resistenti ai carbapenemi che sono difficili da eradicare una volta endemiche, sottolineano la necessità di intensificare ulteriormente gli sforzi per prevenire e rilevare la resistenza”, ha commentato Danilo Lo Fo Wong, consigliere regionale dell’Oms per il controllo della resistenza antimicrobica. “Poiché i batteri resistenti agli antibiotici Proseguono a emergere, sono necessari ulteriori sforzi per migliorare le pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni, ridurre l’uso non necessario di antimicrobici, progettare e attuare programmi di gestione antimicrobica e garantire un’adeguata capacità microbiologica”, ha aggiunto Dominique Monnet, capo sezione dell’Ecdc per la Resistenza antimicrobica e infezioni nosocomiali.

I casi di E.coli resistente

A porre l’attenzione sull’antibiotico-resistenza è stato anche uno studio spagnolo, appena presentato al Congresso europeo di microbiologia clinica e malattia infettive a Copenaghen. Stando ai risultati degli autori dell’Università di Santiago de Compostela-Lugo, infatti, sono stati trovati batteri multiresistenti nel 40% dei campioni di carne analizzati e provenienti da diversi supermercati spagnoli. Nel dettaglio, esaminando 100 prodotti a base di carne, tra cui pollo, tacchino, manzo e maiale, scelti a caso dai supermercati di Oviedo durante il 2020, i ricercatori hanno osservato che la maggior parte conteneva livelli di E. coli che rientravano nei limiti di sicurezza alimentare.

Nonostante ciò, è emerso che 40 dei 100 prodotti contenevano E. coli multiresistente. Era presente, per esempio, E.coli che produce la beta-lattamasi a spettro esteso (Esbl), ossia enzimi che conferiscono resistenza alla maggior parte degli antibiotici beta-lattamici, comprese le penicilline e le cefalosporine, E. coli extraintestinale potenzialmente patogeno (ExPEC), che causa la stragrande maggioranza delle infezioni del tratto urinario (UTI), l’E. coli uropatogeno (Upec) , che fa parte del gruppo ExPEC e, infine, l’E. coli con il gene mcr-1, che conferisce resistenza all’antibiotico colistina.

“Gli interventi dall’allevamento alla tavola devono essere una priorità per tutelare il consumatore, spiega la co-autrice Azucena Mora Gutiérrez. “Ad esempio, l’implementazione di metodi di laboratorio di sorveglianza per consentire ulteriori studi sui batteri ad alto rischio (negli animali da allevamento e nella carne) e la loro evoluzione grazie agli ultimi programmi di restrizione dell’UE sull’uso di antibiotici nella medicina veterinaria. Strategie a livello di allevamento, come i immunizzazioni, per ridurre la presenza di specifici batteri multiresistenti e patogeni negli animali da produzione alimentare, che ridurrebbero il rischio per il consumatore”.



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di Marta Musso www.wired.it 2023-04-17 10:34:32 ,

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